Umberto… un nome che ha fatto tremare ministri, cronisti e ‘terroni’ in egual misura,
un leader forgiato tra piazze colorate di verde e promesse di secessione.
Dalla battaglia del cappio al razzismo padano, Umberto ha trasformato il folklore
in bandiera, gridando “Roma ladrona!” mentre intascava finanziamenti per giornali inesistenti.
Sul banco degli imputati: tangenti e rimborsi gonfiati
per le trasferte in carroccio, un flusso di fondi pubblici sparato in conti offshore
e basta un decreto proprio per riscrivere la storia delle sue aziende.
Quando parlava di ‘repubblica padana’, sembrava un cantastorie in tournée,
ma dietro quel palco di Pontida si celava un sistema di clientele
che infilava poltrone e prebende ad amici di paese.
E le feste nelle sue ville?
Quel carosello di villa-commerce e ‘faccia da leghista’,
dove invitava ministri e veline in egual numero,
inventando il “bunga bunga” ante litteram.
Poi il figlio prediletto, il Trota:
testimonial involontario di nepotismo e debacle di marketing,
mentre la base inveiva contro i privilegi dei “camerieri padani”.
Tra un comizio e l’altro, Umberto ha cavalcato l’onda del federalismo fiscale
e stanziato finanziamenti per ogni comune, tranne quelli del Sud:
tanto valeva gridare “non vi vogliamo”, per far risparmiare la Ragioneria.
Nel mea culpa finale ha confessato:
“Finché non rubo io, non ruba più nessuno.”
Una verità popolare spietata, pronunciata tra una trasmissione e l’altra.
Ma l’inchiesta sui 49 milioni e lo scandalo delle false fatture
erano lì a dimostrare che il teatro politico
può essere un trucco di prestigio contabile.
E quando la magistratura ha bussato alla porta, Umberto
ha schivato processi con una serie infinita di leggi ad personam,
ogni legge un ombrello che lo proteggeva dalla pioggia dei giudici.
Restano le parole urlate in tv e la sciarpa verde al vento,
l’eco del suo canto separatista e la leggenda di un uomo
che ha trasformato la protesta in business, e il business in tragedia.
Allora, cittadine e cittadini, fate silenzio:
non applaudite.
Pretendete un fischio che sbricioli coriandoli di vecchie verità,
una domanda forte: “Dove sono finiti quei milioni di promesse?”
Perché il vero popolo non ha bandiere da sventolare
ma voci da ascoltare, processi da concludere
e diritti da difendere senza copioni da varietà.
Buonanotte, Umberto…
domani svegliaci
quando la Padania non sarà più una buona scusa,
ma un territorio di cittadini veri.