Silvio… trent’anni di palinsesti e di promesse, di processi che sbocciano come ciclamini in primavera e muoiono in un soffio di prescrizione.
Un magnate della tv che ha plasmato la politica come un conduttore plasma un talk show: luci, applausi, applausi registrati.
Ha affrontato più di trenta procedimenti – tra corruzione, falso in bilancio, finanziamento illecito –
e solo una volta ha visto una condanna definitiva, trasformata in affidamento ai servizi sociali anziché in cella.
Si presenta sempre sorridente, la cravatta dritta sul petto, mentre la legge Severino sbarrava la strada agli altri,
e lodo Alfano, lodo Schifani, lodo Mondadori spalancavano porte sui suoi affari.
Ogni norma ad personam un tunnel luminoso che conduceva lontano dai giudici.
Sul banco degli imputati: le cene di Arcore, il caso Ruby, le consulenze milionarie all’avvocato di fiducia.
Il processo sul “tesoretto” dei diritti tv durò anni, ma finì con l’indulto che cancellò un anno di pena.
Nel frattempo, centinaia di testimoni si rincorrevano in aula,
e le intercettazioni giacevano in un cassetto col buco della serratura.
E la prescrizione?
Un tappeto rosso steso sotto ai suoi piedi: ogni rinvio, ogni cavillo normativa, ogni spostamento di competenza –
e il reato sfumava come nebbia al sole.
Intrecci di depositi offshore, conti in Svizzera,
fuso con la holding di famiglia e nascosto tra le pieghe di un bilancio che nessuno legge.
Poi le leggi ad personam: un Ddl che proteggesse il leader-imprenditore, un comma che fermasse l’inchiesta,
una proroga che allungasse i tempi al ritmo di un’orchestra da camera.
Nessuno le chiamava collusioni, le chiamavano “ragione di Stato”.
Ricordate le feste?
Ville incantate, ospiti scintillanti, notaie di carta assorbente scatenate sotto i lampadari in cristallo.
La cronaca rosa trasformata in cronaca nera,
ma senza un nome da accostare alle gesta: Silvio sorrideva sempre, i riflettori puntati su di lui.
E le promesse di moralità, di etica, di trasparenza?
Si sbriciolavano come vetrate d’avorio di fronte allo strapotere mediatico.
Ogni sondaggio saliva e scendeva sulle bungherie di un governo-show,
tra stop ai processi, spanature di fascicoli e applausi in Senato.
Lasciò la guida del Paese per ritornarvi ancora,
tra una sospensione e un’amnistia, in un valzer di cariche e decorazioni.
Il suo partito era un varietà: ospiti illustri, gag improvvisate, skit di campagna elettorale.
Saltava da presidente del Consiglio a senatore con la stessa disinvoltura di chi cambia canale.
Alla fine, sotto i riflettori spenti e le telecamere parcheggiate dietro un muro di scudi,
resta un uomo che ha cavalcato l’onda della cronaca un quarto di secolo.
Un impero costruito su un sistema di eccezioni che proteggeva il padrone.
Allora, spettatrici e spettatori, fate silenzio:
non applaudite.
Chiedete un fischio che spezzi l’incantesimo,
che rompa il sipario di lodi e decreti ad personam.
Perché il vero show non è in tv,
ma nella voce di chi pretende conti chiari,
processi veri e leggi per tutti,
non per un solo protagonista.
Buonanotte, Silvio…
domani svegliaci
quando le porte dei tribunali non avranno più chiavi roboanti.