Nascere invalido… tre parole che valgono più di una sentenza,
un marchio indelebile sul curriculum e sulla vita di chi spera un’occasione vera.
La legge 68/1999 impone quote d’assunzione:
aziende da 15 a 35 dipendenti un invalido,
da 36 a 50 due,
da 51 in su il 7 % di tutta la forza lavoro.
Ma nei corridoi delle imprese il “dovere” si traduce in compensazioni finte,
esoneri facili, piani di assunzione rimandati per crisi che non arrivano mai.
Per ottenere il “collocamento mirato” devi superare commissioni mediche,
far esaminare certificati, progetti, PEI,
firmini un “Patto di Servizio Personalizzato”
e partecipi a decine di corsi regionali che restano sulla carta.
A fine mese, conti le mail non lette e i numeri di telefono occupati,
mentre le aule rimangono chiuse e i docenti… pure loro in sciopero.
Poi arriva il “Progetto di Inserimento Lavorativo”:
un foglio di carta firmato in triplice copia
e zero garanzie di stage effettivi.
La cooperativa amica assume a costi agevolati,
ma ti piazza in un ufficio senza compiti o in un magazzino
dove fai lo stivale per 4 ore al giorno,
pagato con buoni pasto e promesse di contratti occasionali
che puntualmente svaniscono.
Le sanzioni per chi non rispetta le quote?
Una multa simbolica, un richiamo al ministero,
poi si chiude la pratica: “In un momento più favorevole, vedremo.”
Nel frattempo, l’invalido resta un numero in bilancio,
e l’azienda continua a dichiarare “reso conto assolto”.
E le famiglie?
Genitori in ansia per l’affitto, figli che tengono duro
tra un colloquio mai convocato e un tirocinio annullato,
comprano corsi online a pagamento,
sperando che un attestato su PDF valga più di un vero posto di lavoro.
I centri per l’impiego somigliano a custodi di segreti:
pronunciano “inviare candidature” come un mantra,
ma non indirizzano mai un CV a un responsabile HR.
Le email rimbalzano tra uffici interni,
mentre la casella “Candidati Disabili” resta un buco nero.
E chi prova a protestare?
Riceve inviti a concorsi improbabili,
viene inserito in liste di supplenza scolastica o di animatori culturali,
ma mai in un’azienda reale.
Il collocamento obbligatorio diventa un elencone di false partenze,
un teatro in cui attori e registi cambiano maschera
mentre il protagonista resta sempre lui:
l’invalido in attesa.
Allora, cittadine e cittadini, fate silenzio:
non applaudite.
Chiedete un fischio che spezzi le promesse di carta,
un coro che denunci la farsa delle “quote” e dei “progetti”.
Perché il lavoro non è un optional per chi nasce invalido,
ma un diritto da difendere con controlli veri,
sanzioni pesanti, percorsi concreti.
Non servono solo leggi sulla carta,
ma chi le fa rispettare davvero.
Buonanotte, Nascere Invalido…
domani svegliaci
quando ogni quota sarà un’occasione,
ogni progetto un lavoro,
e l’Italia smetterà di ingannare chi ha già pagato il prezzo più alto.