MOSE & Grandi Opere al rallentatore… due parole che profumano di cantieri infiniti,
di fondi europei inghiottiti da cavilli e ruberie,
di tubi arrugginiti che attendono l’acqua alta per sentirsi utili.
“Apriremo entro il 2022!”, annunciavano trionfanti.
Poi è arrivato il 2023, il 2024, e il cartello all’ingresso recita ancora:
“Progetto in corso, tempo stimato: continuo”.
Venezia combatte l’acqua alta con paratoie da Seicento,
mentre il MOSE dorme in silenzio, cullato da subappaltatori e incarichi
che si moltiplicano come funghi dopo il maltempo.
Le inchieste fioriscono sui giornali:
“Tangenti qui, consulenze là, direttori travolti dallo scandalo.”
Eppure, i manager delle grandi imprese festeggiano
con aperitivi e slideshow di slide in cui tutto è a posto,
come se il cronoprogramma fosse il titolo di un film mai girato.
E le opere complementari?
Autostrade sospese che finiscono in un fosso,
linee ferroviarie che non collegano nulla,
stazioni progettate più per selfie che per treni.
I tecnici si passano la colpa come un testimone:
“Il capitolato non lo abbiamo mai visto”, “La gara è coperta da segreto”.
Così il pallottoliere dei costi supera ogni record,
e ogni nuovo stanziamento diventa una lotteria per le casse dello Stato.
E i politici?
Sfilano in elisoccorso sopra i ponti a metà,
si fanno fotografare con il casco in testa,
e poi promettono che il prossimo selfie sarà con l’opera compiuta.
Ma l’unica vera struttura che vediamo
è un monumento al tempo perso,
una statua di cemento armato appoggiata su un sogno traballante.
Allora, cittadine e cittadini spettatori, fate silenzio:
non applaudite.
Chiedete un fischio che scuota le fondamenta di ogni promessa,
una domanda semplice: “Quando, davvero, finisce?”
Perché il MOSE e le grandi opere non hanno bisogno di discorsi dorati,
ma di ingegneri, controlli, trasparenza e rispetto per chi ascolta.
Buonanotte, Cantieri d’Italia…
domani vogliamo svegliarci su opere davvero concluse.