La Legge Bavaglio… due parole che mordono come un rospo su una gola assetata di verità.
Un decreto che promette “tutelare la privacy” e finisce per imbavagliare la cronaca,
spegnendo microfoni e oscurando documenti con l’eleganza di un silenzio imposto.
Ve la ricordate la prima conferenza stampa?
Migliaia di giornalisti schierati, macchine fotografiche pronte,
e poi l’annuncio trionfale: “Niente più accesso ai dati sensibili senza autorizzazione.”
In quel momento, la trasparenza ha indossato un passamontagna.
Il giornalista incalza: “Mi mostri il bilancio!”
Il burocrate risponde: “Lo chieda per iscritto, con tre firme, entro sei mesi.”
E il cronista torna in redazione con un sorriso di carta:
articolo salvato in bozza, scoop rinviato a un futuro indefinito.
I tribunali brulicano di ricorsi per vedere “protocollo e fascicoli”…
Una giostra di timbri, bolli e fotocopie che consumano ore e speranze,
mentre il cittadino si chiede: “Se voglio sapere quanto spendo davvero,
posso consultare la bolletta o devo compilare un modulo in triplice copia?”
La Legge Bavaglio è un’era di ombre,
dove la “dichiarazione sostitutiva” è l’unica firma che non tradisce,
e il “segreto di Stato” diventa un cappio per la curiosità.
A Roma si inventano nuove categorie:
“Informazione a scartamento ridotto”,
“Diritto di cronaca a rate”,
“Libertà vigilata”.
E i whistleblower?
Quei coraggiosi che osano sussurrare dietro le quinte,
vengono avvolti in un bozzolo di procedimenti disciplinari,
suicci burocratici in punta di penna.
Il segreto d’ufficio è una cappa che spegne ogni alito di sussurro.
Le agenzie di stampa – ANSA, Adnkronos – navigano a vista:
“Se pubblichiamo un documento, rischiamo sanzioni fino a cinquantamila euro.”
Così rimandano tutto “ad approfondimento” e intanto
i fatti si raffreddano, si disperdono come vapore nell’aria.
Gli avvocati della trasparenza gridano “incostituzionale!”,
ma l’eco rimbalza sui corridoi del Parlamento:
“È per il bene comune!”, dicono,
mentre soffocano l’inchiesta col cappio della burocrazia legislativa.
E sui social?
Lì il bavaglio si trasforma in meme e gif,
tra un hashtag #BavaglioDay e un tweet ironico.
Ma il click non paga le bollette della verità,
e il like non apre le stanze blindate dei dossier.
La difesa della privacy merita applausi,
ma non quella del silenzio tombale.
Serve un bilanciamento tra diritti,
non una corsia preferenziale per segreti e omissioni.
Allora, cittadini, fatevi sentire:
chiedete un fischio più forte dei sigilli,
una legge che garantisca accesso, non divieto,
cronoprogrammi certi, non scuse pretestuose.
Perché la democrazia non teme il confronto,
ma la Legge Bavaglio è un muro che separa potere e popolo.
E finché quel muro resterà in piedi,
ogni verità sarà solo un’eco imprigionata.
Buonanotte, Libertà di Stampa…
domani svegliati senza bavaglio.