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Sapete cos’è la verità? È quel pacchetto con scritto “Download immediato”, ma poi ti serve un aggiornamento, e l’installazione dura più del tempo di vita dei tuoi sogni.
Ci dicono: “Sii te stesso”, ma solo dopo aver fatto un test di personalità a quiz. Parole precotte, risposte multiple, e alla fine resti confuso come sul più oscuro dei social.
Quando ero giovane, bastava un’idea e un foglio di carta. Oggi ti servono un’app, un algoritmo, un tutorial in sei lingue. L’innovazione chiama, tu rispondi cliccando “Accetto”, senza leggere il contratto, e finisci in un labirinto di cookie e notifiche.
Quella libertà che cercavi sui manifesti ora la trovi a rate, con carta revolving e limite di spesa. Puoi viaggiare dal divano con un visore VR, ma non puoi più vedere il cielo senza un filtro digitale.
Il lavoro è smart, agile, flessibile, ma i messaggi al di fuori dell’orario d’ufficio hanno trovato posto fisso nella tua vita. Il tempo libero è un’icona nell’angolo dello schermo, cliccabile, spendibile, ma non respirabile.
Abbiamo connessioni istantanee, ma le relazioni hanno bisogno di patch continue. La solitudine è diventata un abbonamento premium, e l’amicizia un file temporaneo in cloud.
Eppure, c’è un momento in cui tutto si ferma: quando metti giù il telefono e ti guardi allo specchio, ascolti il silenzio come fosse un vecchio disco e ti accorgi che le parole più vere sono quelle che nascono senza un’anteprima.
Allora spegni tutto, apri la finestra senza il filtro del software, e lasci che l’aria entri senza permesso. Cominci a scrivere con la voce, a toccare con le mani, a ridere senza emoji.
In quel tragitto tra un respiro e l’altro trovi la frequenza della tua esistenza. E non la vendono in streaming, non costa un euro ogni volta che la ascolti.