Il colpo di grazia all’istruzione pubblica: quando il privato diventa padrone dell’educazione
Monologo satirico di Luca Bocaletto
Per decenni la scuola statale italiana è stata il fulcro della nostra Costituzione: gratuita, laica, aperta a tutti senza distinzione di censo. Oggi quel pilastro è sotto i colpi di leggi e decreti che hanno dirottato fondi – prima destinati a potenziare classi, laboratori e organici – nelle casse delle scuole paritarie e nelle tasche dei grandi gruppi economici.
Nel 2025, ad esempio, la legge di bilancio ha aumentato di 50 milioni lo stanziamento alle scuole paritarie, portando il totale a 750 milioni di euro. Contemporaneamente, la scuola statale ha subito tagli drastici: 5 660 docenti e 2 174 unità di personale ATA in meno, mentre i precari rimangono oltre 300 000 e il rinnovo contrattuale è stato finanziato con un aumento accessorio pari allo 0,22 % del monte salari – un insulto al lavoro di chi tiene in piedi le nostre classi.
Dietro a queste scelte ci sono responsabilità precise: il Governo, il Ministero dell’Istruzione e del Merito guidato da Giuseppe Valditara, e il Sottosegretario Gabriele Toccafondi, che con due decreti hanno materialmente disfatto l’equilibrio tra pubblico e privato, anteponendo il principio di “sussidiarietà” al diritto costituzionale all’istruzione gratuita e di qualità.
Nel frattempo è nata la “Fondazione per la Scuola Italiana”, un ente privato sostenuto da UniCredit, Banco BPM, Enel, Leonardo e Autostrade per l’Italia, con l’obiettivo – nelle parole dei suoi promotori – di finanziare progetti “sulla base degli interessi dei finanziatori” anziché dei bisogni reali delle comunità scolastiche. Un capolavoro di lobbying che di fatto trasforma le aule in fucine di manodopera specializzata su misura per i grandi gruppi, anziché in spazi di formazione libera e critica.
Perfino le riforme del curricolo – la recente “filiera tecnologico-professionale” approvata senza consenso delle scuole, che riduce di un anno il percorso, cancella l’autonomia collegiale e introduce “esperti” privati in cattedra – sono parte di un disegno più grande: frammentare il sistema pubblico, depotenziare la scuola statale e consegnare ai privati il monopolio delle risorse e delle opportunità formative.
Il risultato a medio e lungo termine è già sotto i nostri occhi:
- Disuguaglianza educativa crescente. Chi può permettersi una retta ha accesso a classi più piccole, laboratori all’avanguardia e insegnanti più valorizzati, mentre la maggioranza resta lasciata a sé stessa in istituti in affanno.
- Esodo dei docenti migliori. La precarietà e i carichi di lavoro spingono chi ha talento verso il privato o all’estero, impoverendo il capitale umano della scuola pubblica.
- Erosione del ruolo civico della scuola. Quando l’istruzione diventa merce, si smarrisce la funzione formativa che va oltre nozioni e competenze: la scuola non educa più cittadini, ma lavoratori già ingabbiati nei bisogni delle imprese.
- Crisi della democrazia. Un sistema scolastico debole e diseguale genera cittadini meno consapevoli, meno critici e più suscettibili a populismi e a leadership autoritarie.
Chi inchiodiamo al muro? I governi che hanno scelto di tagliare il pubblico in nome dell’efficienza di mercato; i ministri e sottosegretari che hanno sostituito la logica del concorso con gare al massimo ribasso; le fondazioni private che vedono nei nostri figli non studenti, ma potenziali profitti; e tutti coloro che, nel silenzio o nelle lodi, hanno permesso questa svendita del nostro futuro.
Rivendichiamo il diritto a un’istruzione libera, gratuita e di qualità: serve subito un piano nazionale per il ripubblicizzo dei finanziamenti, il reintegro dei tagli al personale, la fine degli affidamenti diretti alle paritarie e l’azzeramento di enti privati che speculano sul sapere. Perché la scuola è un bene comune, non un investimento da dividere in azioni.